Buongiorno, desidera...?

Foto di Mario De Salvecchio

Era la frase che sentivi dire dal negoziante di vicinato non appena entravi.
Erano i tempi in cui il Panettiere, era panettiere, il Lattaio, era lattaio, il Salumiere, era salumiere, il
Macellaio, era macellaio e il Fruttivendolo vendeva frutta e verdura.

Non c'era confusione di ruoli e tali ruoli erano identificati dall'olfatto all'ingresso del negozio.

Il profumo di pane fresco, quello di prosciutto cotto, ebbene si, anche quello del latte, quando il lattaio lo vendeva sfuso immergendo nel bidone, ovale di pragmatica, il mestolo misurato: il quarto, il mezzo e il litro.

Nelle drogherie trovavi dalle spezie al sapone, dal mangime per canarini alla soda per pulire le pentole. Il profumo di spezie e sapone si mescolava come nella canzone di Paolo Conte "Boogie":
"....afrore di coloniali che giungevano a lui come da una di quelle drogherie che tenevano la porta aperta davanti alla primavera".

Dal macellaio si poteva trovare anche pollame o carne di coniglio, specialità bergamasca "polenta e cünì", dei pranzi domenicali. Lungo la settimana le signore meno abbienti acquistavano la "fettina", o la carne da bollito, con qualche osso per rendere il brodo più saporito. Qualche salame e alcune corone di cotechini erano appese ai ganci alle spalle del macellaio. I pezzi più richiesti erano esposti sul bancone in marmo, il resto della carne macellata era appeso nella cella frigorifera chiusa da una pesante e isolante porta metallica.

La pasta era servita impachettata solo se "spaghetti", altri formati, pochi in verità, li ho visti raramente. Le famiglie mangiavano minestre con riso oppure, nella stagione invernale, minestroni con verza e fagioli.

Il pomodoro era venduto come "conserva concentrata" e pesato come avesse un contenuto aureo, conservata in grossi barattoli metallici era prelevata con un cucchiaio di legno e spalmata su carta oleata chiusa attorcigliando i lati. Sulla strada del ritorno a casa, noi ragazzi lo assaggiavamo sempre attingendo un dito senza farci scoprire dai genitori. Il sapore intenso della conserva era una calamita per il palato.

Lo zucchero era servito sfuso confezionato dal negoziante, dopo pesatura, nella leggendaria "Carta da zucchero" color blu. Per altri tipi di merce, oltre alla carta oleata, era utilizzata la Carta Paglia, considerata la carta alimentare per eccellenza, usata da droghieri e fruttivendoli. e dotata di un alto potere assorbente.

Il vino si acquistava dall'oste, portandosi appresso la bottiglia da casa: il Valpolicella, lo Squinzano, il Manduria, la Barbera erano venduti sfusi e l'oste li teneva nelle botti, o nelle damigiane, in cantina. Riempiva il dosatore che riportava la tacca del "pieno" e lo versava successivamente nella bottiglia o nel fiasco dell'acquirente. A casa solo il babbo, la sera, ne beveva un bicchiere accompagnando la cena. Per noi ragazzi nessuna bibita, solo acqua del rubinetto.

Gli unici supermercati, o "Grandi Magazzini", come si definivano a quel tempo erano l'Upim e la Rinascente. Avevano varie tipologie di merce esclusi gli alimentari. Ma, soprattutto, belle commesse che, noi ragazzi, cercavamo d'invitare per le festine da ballo domenicali.

Nei paesi esistevano anche i "Bazar", negozi che nel loro piccolo sopperivano i Grandi Magazzini cittadini. Mescolati agli alimentari, al vestiario di ogni genere, potevi acquistare strumenti per la campagna  e per l'orto: vanghe, zappe, falci e falcetti, eccetera, eccetera. Ma non avresti mai potuto acquistare il vino; quello era unicamente e formalmente venduto dal proprietario dell'osteria, magari con gioco di bocce annesso.

In Bergamo Alta, via Bartolomeo Colleoni, da noi chiamata la  "Corsaröla" che dalla Piazza mercato delle scarpe (stazione d'arrivo della funicolare) giunge sino a Piazza Mascheroni (Cittadella) era zeppa di negozi; uno dopo l'altro: salumerie, panetterie, tabaccai, osterie e trattorie, mercerie, e ancora panetterie e salumerie, l'immancabile farmacia, e via di seguito. Non mancavano i negozi di abbigliamento e gli artigiani, ma quelli erano veri artigiani che battevano il ferro o che lavoravano la pietra, di pacotaglie nemmeno l'ombra.

La mattina, lungo le vie, incrociavi i garzoni del Tresoldi o del Nessi, i due panettieri più noti, che fischiettando e pedalando portavano i sacchetti di pane in casa ai clienti.

Le mamme, che non avevano l'assillo di accompagnare i propri figli a scuola, non esistevano pericoli per loro e non possedevano i Suv le mamme, mentre vagavano da un negozio all'altro per far spese, si fermavano a chiacchierare con amici e conoscenti.

Non mi ricordo di averle mai viste sedute a qualche tavolino dei bar, benché numerosi,  a far colazione.

Ma quelli erano altri tempi, il consumismo non aveva ancora spazzato via il piacere di far quattro chiacchiere con il negoziante di quartiere o di spettegolare con le amiche, in piedi, camminando da un negozio all'altro lungo la "Corsaröla".


Erano giornate da "umani".

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