La sciura Clelia

«Al va a piöf – diceva ad alta voce,  scuotendo il capo, la Clelia, l’anziana signora  che durante l’estate teneva aperto il rifugio SABA in Arera – tira aria dé acqua».

Per coloro che affollavano il praticello davanti al rifugio e non la conoscevano, questa frase incuteva la preoccupazione di prendersi una bagnata scendendo a valle e, conseguentemente, acceleravano il ritorno.


Per noi, che ormai da anni eravamo “di casa” al Saba, era uno spasso ascoltarla e osservare l’agitazione che procurava agli ignari escursionisti che, dopo il pic nic, si godevano il sole sdraiati sull’erba del prato attorniati da bambini urlanti. Ammiccavamo, approvando con il cenno del capo, le sue “previsioni catastrofiche”.

Clelia era fatta così, gentile e disponibile con coloro che rispettavano l’ambiente di montagna, la quiete e l’educazione; severa e spigolosa con chi queste regole non le osservavano.
Teneva il rifugio e il prato antistante, come fosse casa sua; sempre puliti e in ordine.

Per il nostro gruppo, composto di alcuni “compaesani” di Città Alta, aveva una particolare debolezza: non rifiutava mai la richiesta di un piatto di pastasciutta, un bicchiere di vino o di una bottiglia di acqua minerale. Se non aveva il prodotto in dispensa, ci consegnava le chiavi della cantina (l’ingresso di una galleria di miniera adiacente al rifugio) e c’invitava a rifornirci.

Con la Clelia si parlava di Bergamo Alta, di conoscenze comuni come fossimo vecchi amici.
Di lei ricordo anche un’altra facezia. Alla richiesta, da parte di estranei, di poter usufruire dei servizi igienici, rispondeva: «Là ‘nfont, scecc, dre i piante» (la in fondo, ragazzi, dietro le piante), indicando un gruppo di alberi lontano dal rifugio.

Inevitabilmente al ritorno, i disgraziati che non avevano trovato altro che erba e cespugli, la guardavano delusi e con fare interrogativo senza commentare.

Anche questa volta il servizio igienico del Saba era salvo.

Rimasi per alcuni anni senza poter salire da lei, e quando lo feci, trovai il figlio al posto della Clelia. Lei aveva lasciato la vita terrena e, sono sicuro, dall’alto sovrintendeva ancora il suo rifugio con annesso fraticello.

Lo scorso anno accompagnai mio fratello Carlo al Rifugio Saba. Alcune persone erano sedute sui muretti attorno all’entrata, la maggior parte abitanti di Città Alta. Rievocammo la signora Clelia, che tutti avevano conosciuto, e a quei ricordi l’emozione era tangibile su tutti i volti.

Poi, quasi all’unisono, pronunciammo la celebre frase: «Al va a piöf» e altrettanto all’unisono ci mettemmo a ridere!


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